Descrizione
Distrutta più volte durante le invasioni barbariche, riuscì a risorgere ed a divenire centro di primaria importanza longobarda e normanna.
Anticamente posta sul mare Campomarino dista oggi dalla costa un paio di km ma negli anni è venuta crescendo, a ridosso della splendida spiaggia, una località dotata di infrastrutture e servizi turistici di prim'ordine. L'afflusso turistico secondo dati dell'Ente Provinciale del Turismo anno 1995, consta di circa 100.000 presenze nel periodo estivo. Il paese oggi sorge su un piccolo sprone alla destra della foce del fiume Biferno.
La storia ci tramanda che durante il medioevo la vita del paese fu molto travagliata: all’inizio del periodo Angioino, infatti, il paese apparteneva al feudo della famiglia d’Alneto, poi nel XV secolo, passò sotto il dominio dei Monforte per essere successivamente donato da Cola Monforte alla Corte Regia. Il paese era rimasto duramente danneggiato dal terremoto del 1456 ed il feudo era divenuto quasi deserto: nel XV secolo però questo venne ripopolato dai profughi albanesi, costretti a lasciare la terra natale a causa dell’avanzata dei turchi nei Balcani.
Nel 1466, infatti, fu raggiunto da Albanesi in fuga dai Turchi, e conserva di quella popolazione antichi usi ed il tipico dialetto albanese. Correvano gli anni che vanno dal 1461 al 1470, Giorgio Castriota Scanderberg (principe di Krujia Albania), inviò un corpo di spedizione di circa 5.000 albanesi guidati dal nipote Coiro Stresio in aiuto a Ferrante I d'Aragona nella lotta contro Giovanni d'Angiò. Coiro Stresio sgominò, il 18 agosto del 1461, a Lago di Sangue, posta tra Greci, Orsara di Puglia e Troia, le truppe partigiane di Giovanni d'Angiò guidate da Piccinino.
Le popolazioni quindi, ed anche Campomarino, subirono quella che fu nella storia delle colonie albanesi in Italia, la terza migrazione. Per i servizi resi, furono concessi al principe Scanderberg diritti feudali su Monte Gargano, San Giovanni Rotondo e Trani e fu concesso ai soldati e alle loro famiglie di stanziarsi in ulteriori territori. I coloni albanesi rifondarono le terre e vissero convivendo pacificamente per lungo tempo con la popolazione locale. Dopo vari Governi, tra cui spicca quello del conte Manelfrido dal 1503 il potere passò alla famiglia Di Sangro, la quale fu l’ultima titolare del paese prima dell'abolizione del feudalesimo.
Gli abitanti si chiamano Campomarinèsi. La chiesa di Santa Maria a Mare è la più importante del paese: essa fu costruita tra il XII ed il XIII secolo in stile romanico e restaurata nel 1710. I Resti più antichi sono gli absidi e la cripta appartenenti alla prima costruzione: nella cripta sono stati impiegati anche degli elementi romani di spoglio, tra cui dei capitelli con motivi vegetali; in essa si trova inoltre un affresco quattrocentesco raffigurante San Nicola e San Demetrio, quest’ultimo ritratto mentre combatte contro un turco.
Il villaggio di Campomarino in epoca protostorica
Sorge a poca distanza dal mare, in località Arcora, su un terrazzo delimitato nel lato costiero
da un alto costone che fungeva da difesa naturale; sul lato opposto il limite dell’insediamento è dato da una struttura muraria al cui interno si notano grosse buche atte ad ospitare probabilmente i pali per l’ossatura di una palizzata. Sull’ampio terrazzo sono stati individuati due aree a destinazione abitativa.
La prima si sviluppa a nord-ovest, lungo il costone; si tratta di una serie di strutture (esplorate solo parzialmente) notevolmente interrate sul lato posteriore, precedute da un piano probabilmente porticato, pavimentato con un battuto di ghiaia. Alle spalle di una delle capanne, e perfettamente allineata con essa, è stata rinvenuta la sepoltura di un bambino piccolissimo, deposto in posizione rannicchiata (un rito di fondazione forse ?).
L’area più ampiamente esplorata, più articolata per estensione e densità di strutture abitative, è però situata nel settore sud-est del terrazzo. La superficialità delle stratigrafie e le recenti manomissioni rendono problematica la lettura delle singole unità abitative e l’articolazione planimetrica delle stesse. Di certo si tratta di capanne a pianta rettangolare con uno dei lati corti conformato ad abside. Numerose sono le tracce di pavimentazione (battuti, selciati grossolani, livelli di pietrisco e ghiaie mescolati a resti organici e frammenti ceramici).
Spesso all’interno delle capanne si trovano vasi per conservare, infissi nel pavimento; sono
visibili anche alcune zone destinate alla cottura: sono fornelli ottenuti con muretti di argilla.
L’alzato, a giudicare dai frammenti di rivestimento recuperati negli strati e dalla conformazione delle buche, era realizzato con pareti di pali, paletti, canne e rami rivestiti e protetti da “intonaco”: un impasto di argilla e paglia. Tra le capanne situate lungo il costone e quelle dell’entroterra c’è uno spazio lasciato libero già in antico; potrebbe essere probabile una sua destinazione ad attività comuni (ricoveri di bestiame, orti).
I numerosissimi reperti ed i resti faunistici e botanici permettono di avere una idea sulle attività e sulla organizzazione della vita in questo insediamento. Alcune strutture potrebbero avere avuto funzioni “specializzate”: le fuseruole ed i pesi da telaio, ad esempio, sono stati rinvenuti con particolare concentrazione in una delle strutture, così come concentrati in altre aree sono i fornelli stabili, che sono sempre multipli, e in altre strutture sono concentrati i vasi per conservare (magazzini). Tra i resti botanici prevalgono di gran lunga i legumi (vicia faba) cui seguono i cereali (Hordeum vulgare, Triticum dicoccum, Avena sativa).
Tracce chiare di frantumazione di cereali sono stati rinvenuti in uno dei vasi; in un altro sono chiare le tracce relative al consumo dell'uva, se non addirittura alla lavorazione per la produzione di vino. I resti dei pasti consumati, soprattutto le parti ossee degli animali, venivano depositati immediatamente al di fuori delle capanne e, unitamente a frammenti ceramici appositamente sminuzzati e a piccole pietre e ciottoli, finivano col formare uno strato pavimentale particolarmente funzionale. Tra questi resti ossei si identificano soprattutto animali di allevamento (suini, caprini).